Con tutto l'amore del mondo

I sopravvissuti di alcuni campi di concentramento tedeschi della II Guerra Mondiale raccontano che, all’interno dei campi, gli italiani si riconoscevano subito dalla canzone che mormoravano a labbra strette. Loro, quei circa 600.000 militari internati, canticchiavano tutti lo stesso motivetto:

Mamma, solo per te la mia canzone vola

Mamma, sarai con me, tu non sarai più sola!

Quanto ti voglio bene! Queste parole d'amore

Che ti sospira il mio cuore forse non s'usano più.

Mamma!

Ma la canzone mia più bella sei tu!

Sei tu la vita

E per la vita non ti lascio mai più!


Studiando per questa mia rubrica mi sono resa conto che le donne, fossero madri o mogli, sono le vere vittime dimenticate di quell’ indicibile elenco di morte e devastazione che furono le due Guerre Mondiali.

Dimenticate dallo Stato che non le tutelò con alcun aiuto, e dimenticate da Santa Romana Chiesa. Dopo l’articolo su Giovanni Gugliotta (Dialogo, aprile 2021), mi è stato raccontato delle tante mogli di soldati dispersi che, ree di essersi rifatte una vita al fianco di un altro uomo, si videro dimenticate dai presbiteri. E se a Ciccina Migliore, che 10 anni dopo la partenza del marito aveva deciso di sposare il cugino, non veniva benedetta la casa, per un’altra moglie di un altro soldato disperso la punizione fu forse più crudele – almeno ai nostri occhi. Il monsignore della sua parrocchia, infatti, non aveva accolto favorevolmente che quella povera disgraziata avesse deciso di spartire il letto con un altro uomo, e che non avesse deciso di aspettare invano per tutta la vita il marito disperso. Con religiosissimo biasimo e seguendo i dettami vaticani, le negò financo i funerali in chiesa. Fu Padre Gambuzza, allora giovane sacerdote di un’altra Parrocchia, che mosso a pietà cristiana ed in gran segreto, le regalò la sua ultima messa riconciliandola con Dio.


Donne dimenticate come lo è, ingiustamente, Maria Bergamas, madre dei soldati senza nome.

Antonio Bergamas, sottotenente del 137° reggimento di fanteria della “Barletta”, era un volontario irredento di Gradisca d’Isonzo, morto in combattimento il 18 giugno 1916 sul Monte Cimone sull'Altopiano di Asiago. Antonio fu uno dei 71 mila (sì, settantunomila) morti e dispersi della cosiddetta “Battaglia degli Altipiani”, durante la Prima Guerra Mondiale. Il giorno prima della battaglia, Antonio aveva scritto questo alla sua mamma: “Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non sarò più. Forse tu non comprenderai questo, non potrai capire come non essendo io costretto sia andato a morire sui campi di battaglia. Perdonami dell’immenso dolore ch’io ti reco e di quello ch’io reco al padre mio e a mia sorella, […]. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio".

La sua mamma, Maria Bergamas, non rivide mai più il suo Antonio, mai più poté abbracciarlo né baciarlo, mai più una carezza sul suo volto. Maria fu una delle 500.000 mamme italiane che non rividero mai più loro figlio dopo la Prima Guerra Mondiale.

Eppure, Maria Maddalena Blasizza in Bergamas il 28 ottobre del 1921 fu tutte le mamme di tutti i soldati italiani che non tornarono più a casa e a cui nessuno avrebbe saputo dove portare un fiore.

Lei, figlia di un fabbro e di una lavandaia, il 28 ottobre del 1921 fu condotta nella basilica di Aquileia e percorse i passi più pesanti e dolorosi della sua vita. Insieme a lei e all’Italia intera, in quella basilica c’erano i corpi di undici soldati senza nome. Quel che rimaneva dei corpi di undici ragazzi morti nei più drammatici campi di battaglia della Grande Guerra: da Rovereto alle Dolomiti, agli altipiani, passando per il monte Grappa, il Basso Isonzo, il monte San Michele ed il Carso. Undici caduti a rappresentarne centinaia di migliaia, undici corpi chiusi in una bara senza nome, senza tomba. Maria avrebbe dovuto passare in rassegna le bare e riporre un fiore su quella che, da quel momento, avrebbe contenuto tutti i soldati senza nome d’Italia: il Milite Ignoto.

Avrebbe dovuto scegliere, Maria. E scelse, Maria, o forse no. Forse fu quella bara a scegliere lei, quella decima bara, la penultima. E non gettò alcun fiore. Lei, madre di tutti i ragazzi morti in guerra, si gettò a terra: crollò. Si inginocchiò, spezzata in due dal dolore, ed urlò il nome di suo figlio, lo chiamò col cuore infranto, urlò il nome del suo Toti, sperando forse che lui le rispondesse.

Maria Maddalena Blasizza in Bergamas il 28 ottobre del 1921 fu tutte le mamme e tutti i papà del mondo, e quella bara fu la bara di tutti i seicentomila ragazzi morti durante la Grande Guerra.

Dal 4 novembre del 1921 il Milite Ignoto, in rappresentanza di tutti i caduti senza nome, riposa all’Altare della Patria. E nel gesto di Maria, quel 28 ottobre del 1921, tutti i soldati morti in guerra hanno ritrovato la loro mamma.


E se penso alle donne, la mia mente corre veloce all’amore delle tante donne che accudirono, scaldarono nelle loro izbe e curarono i tanti ragazzi italiani mandati a morire nella fredda terra di Russia. Riccardo Di Raimondo, reduce palermitano dell’ARMIR, ha raccontato con grande pudore ed incredibile tenerezza la sua notte nell’izba di Lidia, una delle tantissime giovani donne russe che, come quelle italiane, ungheresi, romene, aveva avuto strappato il suo uomo, mandato al macello in una guerra scellerata come tutte le guerre. Lidia lo aveva accolto nel tepore della sua izba, gli aveva curato il viso prossimo al congelamento e poi lo aveva amato, regalandogli un po’ d’amore e la speranza che ci fosse ancora vita. Un amore effimero e magico e reale e infinito, un amore dolcissimo che si consumava in pochi istanti, poche ore che si facevano eternità.

E mi piace pensare che chi si addormentò nel freddo gelido della Russia, chi chiuse gli occhi al mondo per sempre, abbia visto questo in quegli ultimi istanti il bacio di un bimbo, la carezza di un’innamorata che non ha smesso di aspettarlo, lo sguardo carico d’amore della mamma e l’abbraccio forte del papà.

E m’illudo e sogno che le lacrime calde che rigarono le guance di chi li aspettò invano possano aver scaldato i loro cuori per un’ultima volta, anche per pochi istanti, minuti o manciate di secondi lunghi un’eternità.