“Giannone Malavita Giovanni 12-3-1922 chiamata di leva il 17/9/1942 nell’aeroporto di Augusta.

Il 22/9/42 sono stato trasferito a Lonate Pozzolo poi Gallarate poi Varese al centro reclutamento per la durata di due mesi il 26/11/1942 sono stato trasferito a Capodichino Napoli fino al 12/9/43 ore 9.00 in questo momento siamo stati attaccati dai Tedeschi espugnati fuori dall’aeroporto.

Alcuni presi come prigionieri dopo di ché il comandante diede ordine chi può si salvi (il giorno 16/9/43 incontro il capitano in una famiglia stava preparando il rapporto).”



Quella che avete letto è una memoria scritta di Giovanni Giannone Malavita per difendersi dalle accuse di diserzione.

Quella che avete letto è anche l’ultima lettera che mio nonno Giovanni ha scritto alla sua famiglia dopo mesi di corrispondenza fitta ed appassionata.

Quella che avete letto è anche – e forse soprattutto – la lettera in cui tutto è cambiato, i nemici sono cambiati, i buoni e i cattivi sembrano invertiti: quel ragazzo di poco più di vent’anni è cambiato, per sempre, inesorabilmente. Solo la guerra non è cambiata. Quella, la sporca guerra, con i morti, i suoi feriti, i mutilati, i prigionieri. Quella, la guerra, non cambia mai.

Ho letto e riletto le sue lettere decine di volte e ciascuna volta mi sono commossa ed emozionata per la dolcezza che traspariva in ogni parola, per quel ragazzo che da quel momento non è più stato.

Il ricordo di mio nonno è vivido e relativamente recente, eppure, anche sforzandomi, non riesco a ricreare nella mia mente una sua carezza o una parola affettuosa. Quel ragazzo poco più che ventenne, che scriveva lettere dolcissime ed appassionate ai genitori ed alla sorella, quel “il vostro affezionatissimo figlio Giovannino”, sembra sparito nel nulla dopo quel 12 settembre.

E come lui tanti.

Ragazzi, a volte poco più che ragazzini, cambiati per sempre, con l’anima ferita ed il cuore abbrutito dalla morte e dalla follia umana.

Ragazzi che, loro malgrado e del tutto inconsapevolmente, hanno fatto la Storia e di cui la storia sembra non serbar più memoria.

A loro ed alle loro famiglie – le nostre famiglie! - ho deciso di dedicare una rubrica su questa testata per ricordarli, per restituirli alla Storia con la dignità che meritano.

La ricerca, sin dai primi giorni, si è dimostrata tanto sconvolgente quanto stimolante. Se da una parte, infatti, talvolta emerge il lato più scellerato delle guerre, dall’altra non viene mai meno l’aspetto più compassionevole dell’animo umano che, anche di fronte alla barbarie può prendere il sopravvento.

È il caso, ad esempio, della famiglia di Raffaele Calabrese che, già reduce della Grande Guerra, testimone di orrori inenarrabili, all’indomani dello Sbarco degli Alleati si ritrovò davanti tre soldati di ciò che rimaneva del Regio Esercito. La figlia di Raffaele, Orazia, splendida ed attiva ottantenne, mi ha raccontato di come né loro né i vicini di casa esitarono un solo istante ad aiutare i tre settentrionali. Semplicemente ne accolsero uno per famiglia, divisero con loro quel poco che c’era da mangiare, diedero loro abiti civili e indicarono la strada per tornare dalle loro famiglie. Il viaggio dei tre verso un non meglio definito Nord, ebbe dunque inizio pochi giorni dopo da Trecasuzze e proseguì senza intoppo fino a Trebalate. Lì i soldati trovarono i corpi di due commilitoni morti ammazzati a colpi di fucile e la paura della morte fu tale per cui tutti e tre tornarono nelle case dei loro iniziali salvatori per rimettere gli abiti militari e cercar fortuna tra le braccia alleate.

La signora Orazia ha dei magnifici occhi azzurri, limpidi come il cielo d’agosto. Mentre mi raccontava questa ed altre storie che hanno segnato per sempre la sua vita e quella delle famiglie di tanti, li ho visti arrossarsi, gonfiarsi di lacrime, rinnovando un dolore lontano nel tempo, ma sempre irrimediabilmente vivo.

Questi ragazzi, le loro famiglie, i loro genitori, i fratelli, i figli, non possono aver sofferto invano. Più vado avanti con le domande, più capisco che non possiamo correre il rischio di dimenticarli, di scordare il loro sangue, le loro lacrime.

A loro sono dedicati i miei interventi su “Dialogo”, a loro il mio canale YouTube.com, a loro questo sito: perché glielo devo, glielo dobbiamo; perché tutti dovremmo ricordarci di loro, imparare i loro nomi, le loro storie; perché dimenticarli è ucciderli ancora una volta, per la terza volta.