Omaggio a Mario Gallo

Non ho mai conosciuto un uomo come lui e, a dire il vero, non ho conosciuto nemmeno lui. Di Mario non so praticamente nulla se non pochissime informazioni.

Ch’era nato e cresciuto nella mia stessa Sicilia, in una Sicilia spaventosamente come la mia, per quanto lui se ne sia andato negli anni in cui nascevano i miei genitori, ad esempio.

Ho capito che sua moglie non c’era più, ma non mi sono mai permessa di chiedere. Per quanto mi abbia mandato le foto della sua famiglia, del suo anniversario di matrimonio, una fotografia con tanto di didascalia dei biscotti Plasmon con cui hanno svezzato il loro figlio, era straordinariamente riservato.

Non sapevo neanche la sua età, solo che era tanto più grande di me da chiedermi di chiamarlo Nonno. Ed io, sempre riottosa ai titoli, reticente all’indicazione di parentela sin dalla nascita, non solo ho preso a chiamarlo così, ma a sentirlo una parte della mia famiglia, una parte del mio cuore, mi sono sentita di nuovo nipote. Ed è stato bellissimo.

Ogni mese, da quando ci siamo scritti la prima volta, da quando mi ha chiesto di pubblicare i miei articoli sul suo Lumie di Sicilia, ho atteso trepidante l’arrivo della sua mail. Per quanto vedere quello che scrivevo nelle primissime pagine mi riempisse d’orgoglio, non era quello l’oggetto del mio desiderio, quanto le sue introduzioni. Sottili, lucide, impeccabili sotto ogni punto di vista.

Non ho mai conosciuto un uomo come lui, qualcuno capace di cogliere con tanta puntualità le allegorie inconsapevoli delle parole degli altri, ciò che neanche chi scrive ha il coraggio di dire.

Il più bello dei suoi messaggi è stato a commento di un articolo che, per me, rappresentava il riscatto, un riscatto sociale, morale, un riscatto d’amore. L’ho coinvolto, suo malgrado, in una diatriba su un’anacronistica “nobiltà di sangue”. E lui l’ha osservata con i suoi occhi furbi, picciriddi per dirla come si dice dalle mie parti, e ha raccolto il mio strale con una perspicuità tale da disarmarmi. Era il 15 settembre del 2022 e lui mi scriveva

Il tuo scritto fotografa la realtà di una Sicilia mummificata abbarbicata all’apparire, che non vuole cedere il passo al mutare dei tempi.  Una Sicilia che non puoi accettare, nella quale vivi costretta a lottare non disdegnando però la sfida! Amuninni! 

Ti abbraccio, nonno Mario

È vero, è tutto vero. Solo che non me ne ero mai resa conto.

Amuninni Nonno Mario, amuninni avanti per questa terra ca nun senti, amuninni sempre avanti a testa alta, con quella dignità che solo chi lotta per amore può conoscere. Amuninni con l’odore della zagara nelle narici, l’odore del nostro paese, quello di ciascuna copertina di Lumie.

Amuninni, nonno Mario, perché mi hai lasciata orfana di un pezzo di cuore e non è giusto lasciarsi amare come si amano i nonni e poi andarsene così. Amuninni Nonno Mario, perché adesso che sei nel mio cuore io non ti lascio più.


Riporto il bel testo dedicato a Mario da suo figlio Giampiero che ha realizzato anche il video sopra riportato.


Mario Gallo 14 aprile 1930 - 26 gennaio 2023

…fu sorpreso dai suoi novant’anni e con la vita avrebbe ancora giocato

Una lunga vita, ancora da giocare, visto che il 17 dicembre aveva “chiuso” l’ultimo numero, il 170, della rivista Lumie di Sicilia, inviata ai suoi collaboratori e lettori quando era già in ospedale.

Una lunga vita, soprattutto avendone vissuto tre, la maggior parte insieme alla sua compagna di cinquantasette anni meno un giorno, "scendendo, dandole il braccio, almeno un milione di scale".

La prima, nella culla trapanese, da una stirpe di maestri calafati provenienti nel Seicento da Genova, che ha sempre considerato con orgoglio i suoi quarti di nobiltà, sul cui blasone raffigurava le mani di suo nonno, spaccate dalla pece bollente e le balle di stoppa su cui "Mastru Petru" lo faceva addormentare. A Trapani ha scoperto e coltivato il suo spirito curioso, ha sviluppato il suo intelletto: maturato a 16 anni al Liceo Ginnasio Ximenes, laureato a 20 in Giurisprudenza. Ma, soprattutto, è stato elemento integrale di quella stagione felice del repubblicanesimo trapanese animata da giovani idealisti, intraprendenti, innovatori, di Borgo Annunziata: una stagione della quale è stato custode geloso e cantore appassionato. Queste sono state le amicizie di una vita, una tra tutti, quella con Nino Montanti, l’unico che menzioni qui per includere tutti quei quattru picciotti del “Passo dei ladri” riuniti al Circolo Mazzini per dargli il saluto verso la Scuola di Commissariato militare settant’anni fa, una carta costituente alla quale è riandato costantemente negli anni per rinsaldare lealtà alla fede laica, per confermare un’identità di rigore intellettuale.

La seconda, quella dell’esilio e di un lavoro mal sopportato, ma svolto con integrità e competenza fino a quel titolo di Generale che in fondo viveva con ironia, è stata animata dalla consapevolezza che nella vita si stringono i denti e si va avanti. Sacrifici da fare – loro, progenie di generazioni abituate alle privazioni - risultati da ottenere, con poco spazio alla gentilezza verso se stessi e nessuna concessione all’autocommiserazione. Una vita di peregrinazione, questa seconda vita, in quelle che ha sempre considerato terre straniere, Bolzano, Verona, di nuovo Bolzano e poi Firenze, questa – ebbe a dire – scelta su spinta di mia madre, perché potesse offrire maggiori opportunità per me. Ha provato, per dirla alla rovescia di Dante, come il pane altrui non sapesse del sale delle sue Saline, e che solo allo sbarco dal traghetto della Tirrenia tutto riguadagnasse sapore e colore.

La terza, quella della rinascita, gli ha permesso, dal 1989, di potersi dedicare alla passione di una vita, la scrittura e lo scrivere di quegli ideali giovanili e di quella terra, nella cui lingua ha sempre sognato. La scrittura gli ha permesso di esplorare il mondo digitale, addentrandosi a volte in cose impegnative, dalle quali lo districavo con rimproveri che mai ne intaccavano la curiosità. Un digitale quasi nativo, scherzavamo, anche in questi ultimi giorni legato a WhatsApp e al Web. In questa terza vita, condotta, poi negli ultimi dieci anni sentendo il vuoto ad ogni gradino - sempre citando Montale, ha ristretto e concentrato i suoi interessi e il suo perimetro, rifugiandosi nelle tre-quattro attività che lo facessero sentire vivo, tra tutte la sua rivista arrivata a 170 numeri, artigianali ma interessanti, il guizzo negli occhi ogni qualvolta ci fosse una novità siciliana o una visita di nipoti, e le partite di burraco a Baglio Augugliaro o online (con quelli più bravi, per scelta sfidante); progressivamente angustiandosi delle cose del mondo, dalla pandemia alla guerra, al vedere un ritorno di quei fascismi contro i quali si era permanentemente vaccinato in tempi di adolescenza. La Sicilia era una metafora, per dirla con Sciascia, non solo un luogo, ma anche un modo di essere, uno stato d’animo che lo ha accompagnato, lo ha identificato: un siciliano un po’ calvinista, formato da una mazziniana idea che i diritti sono frutto dei doveri compiuti.

A conclusione, ma forse a sintesi, di queste tre vite, da ultimo, da non credente, ha dato testimonianza dell’umanesimo che animava la sua visione: abbiamo una evoluzione che ha un inizio e una fine e, quando hora ruit, è inutile affannarsi a prolungare una parabola; per quello che andava fatto, il tempo è stato riempito e, aggiungo io, è stato riempito bene. "Aiutami ad uscire da qui", ma prima ha voluto giocare “alla memoria” richiamare alla mente persone e situazioni, una sorta di chiamata intorno al proprio letto per essere accompagnato a questa uscita, compiuta con grande dignità e dando a noi la possibilità di renderci conto di quanto stava accadendo.

Dov’è Mario? dorme, anche lui, sulla Collina.