… E se vai in Albania,

lascia un fiore sulla sua tomba

Com’è potuto succedere quello che è successo?

Spiegatemi com’è potuto succedere quello che è successo. Perché non si muore così. Quando si muore ci si organizza prima, si prepara tutto e si salutano le persone. Non si muore così!

No, perché così una non si dà pace. Perché sua sorella ancora lo aspetta. E anche i suoi nipoti. E, a dirla tutta, anche una sua pronipote Martina che è mia amica e mi ha raccontato di lui, vuole sapere di lui.

Com’è potuto succedere quello che è successo? Un ragazzo! Un ragazzino che faceva il Cavaliere nel XIX Reggimento "Cavalleggeri Guide", mandato in Albania il 28 ottobre del 1940 e morto dopo neanche un mese. Che poi i cavalieri sono bellissimi e invincibili in sella al loro destriero dal manto nero, un nero tanto lucido da sembrare bianco. Se chiudo gli occhi li vedo correre veloci come il vento, eleganti nelle loro uniformi, pronti a sguainar la spada “Avanti, Savoia!”. Avanti…

Rosario Cavallo era nato il 23 maggio del 1917 a Modica, era il più piccolo dei maschi. Anche i suoi fratelli erano stati chiamati per fare la guerra. Luisa, dolcissima Luisa, è la nipote di Rosario. È figlia di quella sorellina tanto più piccola di lui, Giovanna, quella sorellina a cui scriveva le lettere, quelle lettere fitte fitte per non perdersi neanche una parola, quelle lettere cariche d’amore e di rassicurazioni, di lacrime e bugie. Allegava sempre delle splendide stelle alpine, ché a Modica chi li aveva mai visti quei fiori?!

Era un Cavaliere, Rosario, ed era bravo a lanciare i sassi più lontano di tutti i suoi commilitoni. Lo aveva raccontato, carico d’orgoglio, al padre: quanti complimenti aveva ricevuto! Che peccato però che il suo racconto non avesse ricevuto il successo sperato. Forse era troppo ingenuo per capire che lanciare più lontano di tutti significava essere mandato per primo tra i primi, essere nelle primissime file a lanciare le bombe a mano SRCM, una bomba a mano a frammentazione con un raggio d’azione tra i 10 e i 20 metri. “Servono a crear scompiglio prima di una carica” mi ha spiegato pazientemente il mio amico Attilio, il mio Cavaliere del Don, “e poi ancora dopo, quando arrivano le fanterie e non si vuol correre il rischio che qualcuno sia rimasto vivo.” Però se un soldato con una bomba a mano incontra un soldato col fucile, il soldato con la bomba a mano è un soldato morto. Rosario aveva una bomba a mano SRCM, ché serve più a far scompiglio nelle linee nemiche prima della carica che a distruggere, e ha incontrato tanti uomini col fucile.

È morto così Rosario, tre settimane dopo essere arrivato in Albania, quand’era poco più che un ragazzo di appena 23 anni, il 22 novembre di quello stesso 1940.

Aveva mandato una cartolina alla famiglia, a Modica, due giorni prima, una lettera carica d’amore e di rassicurazioni, di lacrime e bugie: “Sto benissimo. Se non ricevete posta da me, state tranquilli”. E forse in famiglia gli hanno anche creduto. Lo ha scritto lui, ha scritto proprio così il 20 novembre del ’40: “Se non ricevete, state tranquilli”. Quando l’hanno ricevuta, lui non c’era già più.

Tra l’ottobre e il dicembre 1940 il XIX Cavalleggeri “Guide” del Corpo d’Armata della Ciamuria, poi rinominato XXV Corpo d’Armata, si era contraddistinto per il suo valore, per gli atti tanto eroici sul fronte greco-albanese da far conquistare al reggimento la medaglia di bronzo al valor militare. Il reggimento si era contraddistinto ancora una volta e Rosario era rimasto lì, esanime, il corpo avvolto dall’uniforme, l’anima a Dio.

Le lettere giunte alla famiglia nei giorni successivi erano il solito susseguirsi di numeri di matricola e reparti, reggimenti e Signoria Vostra. Solo una lettera aveva accarezzato per un istante il cuore di quella famiglia. Il cappellano, cessati i combattimenti, era andato a prendere quei corpi senza vita, li aveva benedetti e aveva dato loro degna sepoltura. Tutti insieme, ma almeno sepolti. Ha fatto una fotografia di quelle croci e l’ha mandata alle famiglie.

Giovanna conserva ancora quella fotografia. Qualche anno fa degli amici di sua figlia Luisa sono andati in Albania e lei ha chiesto loro di portare un fiore alla tomba del fratello, ha mostrato loro la foto. E se non è lui a riposare lì? Se sepolti in quella fossa fossero altri ragazzi e non Rosario? “Cosa importa?”. Giovanna in questo senso è irremovibile. “Che importa? Sarebbe comunque un povero ragazzo proprio come mio fratello”.

Giovanna è una donna che ha conosciuto tanto dolore nella sua vita. Ha perso un fratello in guerra e il marito che era giovanissima. Forse proprio per questo, per quel dolore sempre vivo per suo fratello Rosario, ha cresciuto le sue figlie educandole alla pace e alla sensibilità, all’amorevolezza. Lei e il suo Ninì le hanno portate a Marzabotto e alle Fosse Ardeatine, hanno fatto visitar loro i monumenti al Milite Ignoto.

Da tanti anni ormai Giovanna al dolore dà del tu, eppure quando ripensa alla sua vita ripete sempre una frase: “Povera mamma mia, con tre figli in guerra e uno mai tornato”.

Rosario Cavallo, Cavaliere di poco più di vent’anni nato a Modica il 23 maggio del 1917, riposa lungo il confine greco-albanese dal 22 novembre del 1940, due giorni dopo aver scritto alla sua famiglia di star tranquilli ché lui stava benissimo.

Se vi capitasse di andare in Albania e vedeste le croci dei soldati italiani morti durante la Seconda Guerra Mondiale, lasciate un fiore per Rosario. Non importa che quel corpo non sia veramente il suo: è comunque quello di un fratello, di un figlio, forse di un papà. Regalate un fiore a quella tomba di un ragazzo che forse un paio di giorni prima aveva avvertito la sua famiglia che non avrebbe scritto per qualche giorno. E forse, come tanti nostri ragazzi, è morto chiamando la sua mamma, pensando al suo papà che tante volte gli aveva detto di non lanciare così lontano le bombe a mano.

A Giovanna Cavallo, Luisa e Teresa Agosta ed al loro papà Ninì, che dal dolore hanno imparato l’amore.

A Martina Giannì, amica sincera e donna meravigliosa, che per prima mi ha raccontato con cuore puro di bambina dello zio Rosario e della sua fotografia a casa della sua nonna.