Der Musik macht Frei.


Son morto con altri cento,

Son morto che ero bambino…

Quando Enzo Levy, sopravvissuto al campo di concentramento di Monowitz, andò a cercare sua sorella Eva Maria ad Auschwitz, tutto ciò che era rimasto di quella splendida ragazza ebrea era il suo amato violino, gettato in un magazzino di quel luogo senza Dio, mezzo rotto eppure scrigno prezioso di milioni di uomini e donne, di bambini e di sogni fatti vento, fatti polvere, ridotti in cenere.

Enzo non andò mai dal liutaio a riprendersi il violino di Eva Maria che gli aveva consegnato per farlo sistemare. Enzo non aveva saputo sopportare l’orrore, il dolore, lo strazio disumano della deportazione, del campo di concentramento, della perdita di Eva Maria e della sua mamma, Egle Segré. Enzo non andò mai a ritirare quel Collin Mezin, regalo di papà Edgardo alla sua amata sorella morta ad Auschwitz, vittima della follia nazista.

Enzo Levy, come altri sopravvissuti alla barbarie nazista e ai campi di concentramento, pose fine alla sua vita che non aveva 36 anni.

Passato per il camino

E adesso sono nel vento

Se l’avesse fatto, se fosse andato da quel liutaio di Torino, avrebbe scoperto che dentro la cassa armonica c’erano ancora resti di cenere, polvere di sogni e d’anima di un milione e mezzo di persone, e quel biglietto che lui stesso aveva scritto per sua sorella: Der Musik macht frei.

La musica rende liberi.

Ad Auschwitz tante persone,

Ma un solo grande silenzio

è strano non riesco ancora a sorridere qui nel vento

Mentre leggevo la storia del fante Damiano Tosolin che mi ha mandato il mio “amico del Don” Mauro, mi è subito tornata in mente la storia di Enzo ed Eva Maria Levy, del “Violino di Auschwitz” e di quel biglietto.

La musica rende liberi.

Io chiedo: come può l'uomo

Uccidere un suo fratello?

Damiano Tosolin, figlio di Teodoro e Maria Zuanelli, era un ragazzo di appena vent’anni mandato in Russia a fare la guerra nell’ottobre del 1942.

La sua storia è la storia di altri novantamila nostri ragazzi mandati a morire lungo le sponde del Don, così sciaguratamente presenti ai nostri occhi e alle nostre orecchie negli ultimi mesi. La storia di Damiano però è anche la storia tristissima e profondamente ingiusta di almeno altri 75 ragazzi della “Vicenza”, la cosiddetta “Divisione Brambilla”, divenuti senza patria con la fine della II guerra mondiale.

Eppure siamo a milioni

In polvere qui nel vento

Damiano era nato a Grisignana, in provincia di Pola, come il suo commilitone Libero; Italo, Ferruccio, Giovanni e tanti altri erano di Fiume, Renato di Capodistria, Albino di Caporetto. Questi sono solo alcuni dei nomi dei 76 caduti e dispersi Istriani e Dalmati della campagna di Russia. Loro, rei di essere nati in quelle terre perse dall’Italia insieme alla guerra, non hanno avuto un monumento né una cerimonia per ricordarli, non una targa con il loro nome. Non una tomba, come se anche la loro anima fosse stata straniera in quelle terre contese.

Non un fiore per loro, non un fazzoletto di terreno sopra il quale crollare sotto il peso di tanto dolore. Non una lacrima “italiana” per loro: come se il dolore delle famiglie avesse bisogno di passaporto.

Ancora tuona il cannone

Damiano Tosolin, classe 1922, era un fante della Brambilla - dicevamo - un bellissimo ragazzo istriano di vent’anni, mandato a far la guerra nel reparto musica della Compagnia Comando di Reggimento del 277°.

Damiano non era un soldato di professione, non aveva avuto un addestramento militare serio, come molti dei fanti della Divisione Vicenza. Quella Divisione, comandata da Etvaldo Pascolini, doveva servire all’ARMIR solo di rincalzo, per rastrellamenti o pattugliamenti nelle retrovie. Era composta prevalentemente da riservisti anziani e ragazzotti pressoché privi di addestramento militare. Se l’equipaggiamento dell’Armir era scadente, quello della Vicenza era pessimo, come anche l’armamento, tanto da suscitare l’ilarità degli alpini che, sulle note di una canzonetta in voga in quegli anni, la soprannominarono appunto “Divisione Brambilla”.

Ancora non è contenta

Di sangue la bestia umana

Dei 9.053 effettivi, tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppa, della Divisione Vicenza, 1151 erano conducenti di muli ed un altro migliaio erano “servizi”: barellieri, autisti, panettieri, radiotelegrafisti, marconiani, falegnami e musicisti. Basta fare i conti della serva per capire che di quei 9.000 uomini, 7.000 sì e no avevano ricevuto un buon addestramento militare.

Dei 9.053 effettivi della Divisione Vicenza, 6.840 uomini, ragazzi, figli e padri, fratelli e nipoti, non sono mai più tornati a casa.

Damiano era un musicista, forse un trombettiere, uno di quei 2.000 militari di truppa mandati a far la guerra in Russia che avevano appena compiuto 20 anni , uno di quei 2.000 mandati tra i “servizi” a fare da rincalzo nelle retrovie e poi, un paio di mesi dopo, mandati tutti in prima linea, a sostituire la Julia decimata.

Damiano era un musicista, forse un trombettiere, un bellissimo ragazzo di appena vent’anni della Vicenza, morto nella gelida steppa nel dicembre del ‘42 o nel gennaio del ‘43 insieme ad altri 6839 uomini, ragazzi poco più che ragazzini, della Vicenza.

E ancora ci porta il vento

Damiano era uno dei 76 ragazzi istriani o dalmati della Divisione Brambilla, quella divisione che aveva fatto ridere gli alpini per il loro armamentario, quella divisione “armata solo di buona volontà” e decimata, massacrata, annullata dalle artiglierie russe.

La sua mamma, Maria, ed il suo papà, Teodoro, non si diedero pace. Scappati dalle loro case, scacciati dalla loro stessa terra, stranieri senza patria e - forse - senza speranza, non smisero di cercare il loro ragazzo, quel loro figlio di appena vent’anni.

Ancora tuona il cannone

Ancora non è contenta

Di sangue la bestia umana

E ancora ci porta il vento

Fecero stampare tante fototessere di Damiano nello studio di Vasari, a Roma, e le affidarono a Donna Letizia, ovvero Letizia Svevo Fonda Savio, figlia dello scrittore Italo e, soprattutto, madre di tre ragazzi morti durante la seconda guerra mondiale.

Maria e Teodoro si affidarono a lei per trovare loro figlio, gettarono il cuore in quelle fototessere con scritti i dati di Damiano in italiano e in tedesco per trovarlo, dovunque lui fosse, per avere sue notizie.

Damiano non è mai tornato a casa. Damiano non avrebbe più avuto una casa in cui tornare.

Maria e Teodoro non avrebbero avuto una casa in cui accogliere loro figlio, né una tomba sulla quale piangere, un pezzo di terra sul quale accasciarsi e versare lacrime per un ragazzo di vent’anni che faceva il musicista e che era stato mandato a far la guerra.

Io chiedo: quando sarà

Che l'uomo potrà imparare

A vivere senza ammazzare?

Damiano è in Russia, insieme agli altri 75 ragazzi istriani e dalmati della divisione Vicenza, ragazzi dimenticati, senza una targa o un monumento, senza tomba.

E forse, chissà, Damiano è tornato a fare il musicista, per quei novantamila ragazzi italiani, novantamila figli, padri, fratelli, addormentati per sempre nella gelida steppa, vegliati dai girasoli o dallo sguardo amorevole di chi non ha mai smesso di cercarli, di aspettarli. Di amarli.

Der Musik macht frei e l’amore rende eterni.

Io chiedo: quando sarà

Che l'uomo potrà imparare

A vivere senza ammazzare?

E il vento si poserà

F. Guccini, Auschwitz