Salvatore Martignani. Storia di una lettera mai arrivata.

Li, 1-4-1943 – Bologna

Adorato fratellino ogni settimana ti invio sempre nostre notizie, in attesa sempre delle tue che è dal 7 gennaio l’ultima tua, è già 2 mesi e 23 giorni senza la tua cara posta che l’attendiamo con tanta ansia e desiderio.

Ti ricordiamo giorno e notte, siamo fiduciosi che tu ritorni sano e salvo fra noi che ti vogliamo tanto bene, dolce fratellino tu sei il paradiso dei nostri occhi, tu sei la gioia del nostro cuore, tu sei l’eterno sole della nostra vita. Ritorna dalla nostra dolce mammina che ti chiama sempre, dal tuo babbo, dal tuo fratello che pianger sempre, dalla tua sorella che ti vuole tanto bene, che ti rifà tante affettuosità e carezze, ritorna a sorriderci e a cantare, da quando sei partito per la vita militare la nostra casa è rimasta un deserto, ed ora che siamo privi di tue notizie, siamo più fragili.

Michele parte questa sera è stato a casa 4 giorni di licenza è a Trieste perché è stato ammalato. Gino Morelli arriva a Bologna domani notte dopo 20 giorni di assenza e tu fratellino quando ritornerai ? speriamo presto.

Iddio buono ti avrà aiutato certamente, sei tanto buono, chissà quanti sacrifici e privazioni avrai fatto.

Ti mando i miei sinceri auguri, saluti arrivederci a presto con un forte abbraccio,

baci, baci, tua sorella che ti ricorda sempre, nostalgia mamma e babbo

Mi soffermo su ogni parola. Non posso fare altrimenti: ho gli occhi pieni di lacrime e non so andare avanti senza doverli asciugare. Mauro, un altro degli “amici del Don” che il buon Dio ha deciso di farmi incontrare per dimostrarmi che nel mondo esistono persone dal cuore buono, mi ha raccontato di aver partecipato ad un’asta online per una cartolina spedita da Bologna Ferrovia l’1 aprile del 1943 ed indirizzata al Caporale Salvatore Martignani, presso il II Battaglione del 277° Reggimento, 8ª Compagnia, Posta Militare (P.M.) 156.

Abbiamo parlato tanto Mauro ed io, parlato di musica e di guerra, dei ragazzi mai più tornati dalla Russia e delle loro famiglie che li hanno aspettati per tutta la vita qui in Italia: non sono numeri neanche per lui quei ragazzi, non possono esserlo.

Mauro, il mio amico triestino con il suo accento spiccatamente giuliano, non ha quei tratti di freddezza e impassibilità con cui da noi si identificano gli abitanti delle Terre Irredente. Al contrario è un uomo dotato di straordinaria sensibilità, grande esperto di Alpini, attento studioso della Divisione Vicenza.

Trieste dista da Modica circa 1.500 Km eppure, di fronte alla bellezza e all’orrore, sembriamo essere nati e cresciuti nello stesso quartiere.

Guardo il materiale che mi ha inviato, osservo le date. Rimango sgomenta: la sorella di Salvatore gli scrive il 1° aprile del 1943, il battaglione di Salvatore era stato spazzato via a fine gennaio, tra Scheljakino o a Varvarovka, Salvatore - molto probabilmente - a quella data era morto da oltre due mesi.

Guardo di nuovo quella cartolina. C’è stampato un timbro, c’è scritto AL MITTENTE. È un timbro dalle dimensioni terribilmente grandi, a stampatello, che se lo guardi oltre la scritta stessa quei caratteri sembrano giganteschi. Quel timbro è il marchio del dolore, quella scritta è il contrassegno della fine. Quel timbro è solo il preludio della prossima cartolina: a quel AL MITTENTE seguirà un Verbale di Irreperibilità, seguiranno le lacrime di Giuseppina Miglie, la sua mamma, le rughe dello strazio compariranno sulla fronte di Ugo, quei genitori che avevano tanta nostalgia del figliolo inizieranno a morire dentro.

Quella cartolina tornata al mittente non è che l’inizio del calvario di centinaia di migliaia di famiglie, il lento inizio di un lutto immane, spropositato, mai accettato, ricacciato via dalla speranza di un ritorno. È l’inizio del lungo addio, quello senza fine, senza funerale, senza sepoltura.

Salvatore non risponderà mai a quella lettera. Salvatore non tornerà mai a sorridere con la sorella, mai più canterà con “mamma e babbo”. Non lo sanno ancora, ma quel deserto, quella fragilità esasperata di cui scrive questa ragazza, sarà per sempre.

Salvatore Martignani, nato a Bologna il 2 dicembre 1922, mandato in Russia poco più che ventenne, caporale nell’8° Compagnia (Armi di Accompagnamento) del II Battaglione del 277° Reggimento di Fanteria della Divisione Vicenza, s’è perso. Si è perso con tutto il suo reparto, forse il 23 o il 24 gennaio del ‘43, forse a Scheljakino o a Varvarovka. Forse il 31 gennaio, come hanno scritto nella sua scheda: una data fittizia, arbitraria, una data come tante per altre migliaia di ragazzi dell’ARMIR.

Salvatore, che era per la sua famiglia “il paradiso degli occhi, la gioia del cuore”, non è più che un cumulo di neve insanguinata, un coacervo di carne e lacrime, un eterno ammasso di sogni infranti, di speranze spezzate. Salvatore, “l’eterno sole della vita” della sua famiglia, si è spento sotto i colpi dei russi, annientato nella follia della guerra, una guerra scellerata, scriteriata. Salvatore, “dolce fratellino” di una sorella che non ci lascia conoscere il suo nome, non è più.

Salvatore Martignani era un caporale dell’8° Compagnia del II Battaglione del 277° Reggimento di Fanteria della Divisione Vicenza.

Salvatore Martignani, figlio di Ugo e Giuseppina, era solo un ragazzo di vent’anni mandato a far la guerra in Russia che il 23 o il 24 gennaio del 1943 ha smesso di cantare, di sorridere, nel freddo di Scheljakino o sotto i colpi di mortaio di Varvarovka.

Salvatore era solo un ragazzo a cui la sorella aveva mandato una lettera per dirgli che lo amava e che tutti lo aspettavano, che desideravano rivedere il sole nella loro casa, la gioia nelle loro vite. La lettera è tornata al mittente. Il sole è tramontato.

Salvatore dorme in terra di Russia.

Salvatore non è più.