Della I Guerra Mondiale sappiamo tutto.
Conosciamo i nomi dei fronti in cui si combatterono le battaglie più atroci. Alcuni di noi conoscono anche il nome dei gas usati dai tedeschi durante i loro interminabili bombardamenti.
Sappiamo di Verdun e abbiamo visto decine di film sulle battaglie della Marna. Ci siamo emozionati per la Tregua di Natale e usiamo ancor oggi l'espressione "è stata una Caporetto" per indicare una sconfitta disastrosa.
Prendiamo il caffè alla mattina per cominciare al meglio la nostra giornata di lavoro, ché il capo è un crucco e con il suo trench a volte sembra proprio uno scemo di guerra. Leggiamo i dati e, con una superficialità sempre più vicina al cinismo, contiamo 16 milioni di morti e una ventina di milioni di feriti e mutilati.
Della I Guerra Mondiale non sappiamo nulla.
Sì, può darsi che il Piave mormorasse quel 24 maggio: forse sapeva già che le sue acque e quelle degli altri fiumi, sarebbero state tinte del rosso del sangue di quei poveri ragazzi; sapeva forse già che le sue acque non sarebbero più state limpide e salvifiche, ma avvelenate e cariche di morte.
Leggiamo nei libri di storia, nei titoli di coda dei film che a Verdun tra il 21 febbraio e il 19 dicembre del 1916 , 600.000 ragazzi morirono, si persero per mai più ritrovarsi, furono feriti e mutilati. Seicentomila ragazzi! Seicentomila padri, seicentomila madri, seicentomila mogli, fidanzate, figli.
La I Guerra Mondiale è stata tanto orrida e sconvolgente da essere entrata a piè pari nelle nostre vite, nel nostro modo di parlare, da cambiare le nostre abitudini. Quando la nazionale italiana di calcio non si è qualificata ai campionati mondiali, i giornali sportivi non hanno lesinato titoli che richiamavano l'episodio più drammatico mai vissuto dall'esercito italiano. 50.000 morti e 300.000 prigionieri, in fondo, si possono ben paragonare ad una sconfitta sportiva!
Il caffè ha preso ad essere bevuto al mattino così come al mattino veniva portato in quelle luride e gelide trincee, così come il trench non è che il trench coat, il cappotto militare d'ordinanza dei soldati di quelle stesse trincee.
Crucco, termine dispregiativo per indicare i tedeschi, in realtà non è che la versione italiana del serbocroato kruh, "pane", ovvero tutto ciò che chiedevano quei poveri prigionieri austroungarici o i civili dei territori occupati.
Ed infine, risuona in tutto il suo cinismo e drammaticità quell'insulto ancora in uso in molte parti d'Italia: "scemo di guerra", "scimunito dalle bombe". E c'è poco da ridere e ancor meno da biasimare: come si poteva non impazzire se per giorni e settimane e mesi e anni, le tue orecchie sentivano bombe su bombe, esplosioni su esplosioni, urla su urla, lacrime su lacrime.
Può darsi che nella teoria sappiamo tutto della I Guerra Mondiale, ma sono pressoché certa che noi non abbiamo alcuna idea, neppur vaga ed approssimativa, di cosa sia stata davvero la Prima Guerra Mondiale.
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