“… è tutto un equilibrio sopra alla follia”

Ci sono serate che non ti aspetti, serate il cui andamento sembrava prevedibile e poi, di colpo, sembra deviare e riscriversi nello strano libro del destino tessuto dai fili del caso. 

Conosco Francesco da sempre, è sempre stato l’amico di qualche amico e i rapporti tra di noi sono sempre stati molto cordiali. Poi quella serata, una di quelle che sai già come andranno e sai che sarà una piacevole serata tra amici in cui sarai costretta ad ascoltare una mediocre imitazione di un cantautore che apprezzi, ma che certo non ami. E invece…

E invece ti ritrovi ad ascoltare “Sally”, forse la più bella canzone di Vasco Rossi, con il cuore colmo di emozione perché Francesco, un ragazzo che conosci da sempre, ti racconta di suo nonno, quel nonno che hai trovato tra quelle centinaia di nomi di prigionieri modicani in Germania durante la Seconda guerra mondiale. 

Si chiamava Francesco, come lui, era del ‘13 e nella foto che mi mostra suo nipote portava un cappello da alpino: sguardo fiero verso l’infinito, sulla spallina il numero 10.

Mi perdo! Distinguere gruppi, reggimenti e divisioni non è il mio forte. Se è un alpino, mi dico, Mauro - il mio sempre prezioso Amico del Don - saprà aiutarmi. Pochi minuti e in un messaggio ecco chiarito tutto: “ha il cappello all’alpina, ma non è un alpino” chiarisce subito. E poi mi fa notare il fregio al centro, con il numero 52 e la nappina rossa e mi rivela qualcosa che lascia incredula tanto me quanto Francesco: forse è un ritocco dell’epoca, un tarocco ante guerra. 

Francesco Battaglia, classe 1913 era un artigliere del 24° Reggimento di Artiglieria Campale Someggiata, 3° gruppo, inviato sulle montagne del fronte greco-albanese. “Someggiata”, un modo elegante di dire “a dorso di mulo”! Poveri muli, furono loro i veri angeli custodi durante le varie campagne di guerra italiane. E in Epiro, dov’era Francesco, il freddo era terribile e le condizioni furono di vera e proprio sopravvivenza. Era nella “Pinerolo”, era una delle grandi unità dell’esercito italiano,  inviata nei Balcani durante la campagna italiana in Grecia e Albania nel 1940. Ho letto di questa divisione nelle ultime settimane, in un libro di Bedeschi fatto di testimonianze e rabbia, di racconti e del dolore che fu lo stesso per centinaia di migliaia di nostri soldati mandati a farsi massacrare in una guerra che avrebbe dovuto spezzare le reni alla Grecia e invece aveva spezzato le vite di 14.000 ragazzi italiani. Ad altri 50.000 aveva congelato il corpo. A tutti gli altri anche l’anima. 

“Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia” cantava quell’imitatore di Vasco Rossi proprio mentre Francesco mi raccontava di suo nonno. Chissà se l’avrà pensata anche lui una cosa simile… chissà se l’ha pensata l’8 settembre del ‘43, quando è arrivata la notizia dell’armistizio e le truppe presero a festeggiare convinte che la guerra fosse finita e che sarebbero tornati a casa. Il generale comandante la divisionale, Del Giudice, sentito l’annuncio dell’armistizio era rimasto sconvolto: aveva organizzato per quella sera una cena con una decina di ufficiali tedeschi presenti in zona e non aveva idea che ci fosse stato un armistizio. Ma erano le 19:30 e forse neanche i tedeschi sapevano nulla: la cena ci sarebbe stata lo stesso. “Enorme confusione”. Quando si parla di 8 settembre, quello che viene sempre fuori è questo: enorme confusione, nessuna direttiva, i tedeschi che assicurano il rimpatrio mentendo e sapendo di mentire, Badoglio che sproloquia e dice di sparare a chi ci spara e di non sparare a chi non spara. 

Molti ufficiali della Pinerolo scelsero di non credere alle bugie dei tedeschi e di salire in montagna e continuare a combattere con quegli stessi partigiani con cui si erano scontrati durante i tre anni di occupazione del suolo greco-albanese. Quale cambio di prospettiva per molti di loro, quanta paura avranno avuto? Potevano fidarsi? Li avrebbero accolti? Avrebbero anche potuto ammazzarli tutti.. si sarebbero vendicati! 

Quanto coraggio ebbero questi uomini nello scegliere di continuare a combattere! 

Molti reparti della Pinerolo scelsero di opporsi ai tedeschi con le armi, non tutti furono nelle condizioni di farlo. Questo ho imparato dal magnifico testo di Bedeschi. La scelta dipendeva da troppi fattori: i comandanti certamente, ma anche e soprattutto la dislocazione delle truppe, e poi ancora la disponibilità di cibo e di armi, entrambi già scarsi quando eravamo amici dei tedeschi, figuratevi dopo!

E Francesco? No, lui scelse la prigionia ed ebbe un coraggio enorme! 

Suo nipote quella sera mi racconta un episodio incredibile: chissà se si rende conto della portata politica e morale di quel che mi dice. 

Durante la prigionia in Germania aveva incontrato suo fratello Saro, si erano abbracciati come fanno due fratelli, si erano stretti l’uno all’altro, forse avevano sincronizzato i battiti del loro cuore, come succede quando due persone che si amano si abbracciano. Si erano abbracciati, avevano parlato, forse avevano anche pianto rivedendosi e forse avevano pianto ancora di più salutandosi, lasciandosi nella consapevolezza di aver scelto due strade opposte. Erano nemici, sarebbero dovuto esserlo: Saro da una parte del filo spinato, con i tedeschi, Francesco dall’altra, quella dei campi di concentramento e del lavoro forzato, quello della fame e delle botte. 

Francesco Battaglia, artigliere del 24° Reggimento di Artiglieria Campale Someggiata, 3° gruppo, Divisione Pinerolo, già reduce del fronte greco-albanese, impegnato per tre anni sull’Epiro a morir di fame e di freddo, deportato in un campo di prigionia tedesco - forse il IV B di Mühlberg, in Sassonia - scelse di Resistere ad ancora più fame e ancora più freddo, di Resistere alle botte e alle umiliazioni di una durissima prigionia, di Resistere anche - consapevolmente e coraggiosamente - di fronte all’abbraccio del suo stesso fratello di sangue, in nome della libertà che sarebbe stata di tutti noi, di suo nipote che porta il suo nome, in nome di un’Italia macchiata del sangue dei suoi ragazzi mandati a morire tra le montagne della Grecia, tra la sabbia d’Africa e nella neve di Russia. 

A Francesco Battaglia, nonno e nipote, e a tutti i soldati che hanno scelto di Resistere, Resistere, Resistere.