Giovanni Gugliotta: lettera di un soldato disperso in Russia


Secondo la teoria del Caos il caso non esiste. Anche secondo me non esiste e non può certo essere un caso che, tra milioni di utenti di Facebook, il mio cammino si sia incrociato con quello della signora Gugliotta. Non ci conosciamo, non ci siamo mai viste né ho mai sentito la sua voce, ma le è bastata una frase per entrare stabilmente nel mio cuore: “Io di mio padre ho solo una foto di quand’è partito per la guerra. Non l’ho mai visto, ma non ho mai smesso di pensare a lui”.

Così ho deciso di contattarla e raccontarle di questa mia rubrica, sperando volesse aiutarmi. Gina si è dimostrata subito disponibile ed incredibilmente paziente nel rispondere a tutte le mie domande. Il tratto più disarmante è proprio che la signora Gina non ha praticamente alcun ricordo del suo papà, se non quella fotografia.

E allora ho deciso di far ricorso alla mia fantasia per regalare ad entrambi, padre e figlia, un momento di tenerezza condivisa, una lettera immaginaria per accarezzare il cuore all’una e regalare un po’ d’amore all’altro. Chiedo venia se mi sono presa la libertà di interpretare i pensieri di un uomo che non ho mai conosciuto e mi auguro con tutto il cuore di essere riuscita nel mio intento.

Mi chiamo Gugliotta Giovanni, figlio di Iemmolo Orazia e Gugliotta Vincenzo, nato ufficialmente negli Stati Uniti d’America il 26/06/1914, anche se io sono nato a Buenos Aires.

Rientrato a Modica avrei dovuto lavorare nel molino di mio padre, ma a me piaceva di più quello di Santa Maria. Successivamente ho aperto una trattoria nel Corso Umberto, mi sono sposato con Migliore Francesca, detta Ciccina, ed ho avuto due bellissime bambine: Orazia, in onore di mia madre, e Giorgia, come mia suocera.

A quel tempo ero un uomo felice: avevo la salute, un lavoro ed una bellissima famiglia. Ero un uomo felice, ma poi è arrivata la guerra. Maledetta guerra! Sono stato chiamato alle armi e mandato a Colleferro e da lì in Russia: VIII Divisione, 52º Reggimento di marcia, battaglione complementi, 9° compagnia.

Quand’ero a Colleferro scrivevo sempre tante lettere a mia moglie e le raccontavo quello che facevamo e che le pensavo sempre e anche lei mi scriveva sempre. Poi, quando mi hanno mandato in Russia, le lettere di Ciccina le sono tornate tutte indietro e le mie non le sono più arrivate.

Mia figlia Gina dice che ero un bell’uomo, seppur esile, biondo e con gli occhi chiari, anche se lei mi ha visto solo nella fotografia di quando sono partito per la guerra. Ah, le mie bambine! Certo, per loro non è stato facile senza di me. Quando mi hanno mandato in Russia, Gina è andata a stare da mia suocera. E come poteva una donna da sola campare una famiglia? Mica lo Stato ti aiutava! E mia suocera glielo diceva sempre a Ginuzza mia: “ormai sei orfana, rassegnati!”. E lei non ci credeva e, quando già era grandicella, scappava e andava ad aspettarmi alla stazione dei treni di Modica. Che poi un ferroviere che era con me qui in Russia gliel’ha detto che eravamo insieme. Gliel’ha detto chiaramente: eravamo un bel gruppo di modicani e tutti insieme ci aiutavamo durante la ritirata del dicembre del ’42. Poi è arrivata una slavina e ci siamo separati e non ho più visto nessuno di quei modicani.

Glielo scrivevano anche nella pagella: Gugliotta Giorgia fu Giovanni. Però non glielo scrivevano che ero morto per davvero: ero disperso! Allora ogni anno, il giorno dell’Epifania, venivano tutti i reduci dei paesi vicini, e alla Chiesa di San Pietro era un grande evento per tutti i bambini dei papà dispersi o morti in Russia, in Grecia, in Africa. Era un momento importante in cui lo Stato ricordava alle nostre famiglie che non le lasciavano da sole e che le sosteneva con aiuti concreti: un quaderno con la copertina nera e un pacco di colori Giotto da sei, così potevano disegnare.

Poverina, la mia Ciccina, come avrebbe potuto campare una famiglia da sola? E così nel 1950 si voleva sposare con mio cugino Giovanni Iemmolo, che faceva il meccanico ed era un bravo ragazzo. Solo che io non ero morto per davvero secondo lo Stato e allora Ciccina era diventata una pecora nera perché viveva con un uomo che non era suo marito, perché suo marito era disperso sul fronte russo. Ah, povera Ciccina! Non le bastava un marito giovane e innamorato disperso in Russia, anche la chiesa la voleva abbandonare! Quando il prete passava per benedire le case, nella nostra non veniva mai, perché Ciccina conviveva con un uomo con cui non era sposata. Poi, quando nell’87 ero morto anche per lo Stato, la mia Ciccina si è sposata e forse la casa gliela benedivano.

Mia figlia Gina, lei, è molto caparbia e suo figlio Giorgio è uguale a me. Lei voleva studiare ad ogni costo, ci teneva tanto. Certo, se il tuo papà è partito per la guerra e in guerra c’è anche morto, non è così facile. Una donna sola non può badare a due bambine così piccole, allora l’hanno mandata in un orfanotrofio a Chiaramonte Gulfi e c’è rimasta per tre anni. Poi volevano mandarla a Messina, ma Ciccina non ha voluto e pazienza per i sacrifici e le rinunce, ma Gina a Messina non doveva andarci.

Certo, lei voleva studiare e addirittura non voleva andare alla scuola di avviamento, ma in una scuola buona. Solo che i libri erano troppo cari e i soldi che abbiamo qui in Russia servono solo per noi, quindi non potevo mandarglieli.

È una grande donna la mia Gina. Lei lo ha detto a quella che scriverà quest’articolo: tutto quello che mi resta di mio padre è una fotografia, ma io penso sempre a lui.

Però voglio rassicurare tutti: non sono solo. Qui siamo 90.000 italiani e, bene o male, tra compaesani ci capiamo.

Certo, mi sarebbe piaciuto vedere le mie figlie crescere, conoscere i miei generi. E chi l’ha portata all’altare la mia piccola Gina? Quello avrei voluto farlo io, ma mi sono perso in Russia, quando una slavina ci ha presi in pieno e mi ha separato dal gruppetto di modicani.

Noi ci aiutavamo tra di noi. Ad esempio, durante la ritirata, non ti potevi mai fermare, perché se ti fermavi il sangue ti si gelava nelle vene e poi ti addormentavi e non ti svegliavi più. La maggior parte di noi si è addormentata così e poi non si è svegliata più. Un reduce ha detto che è un modo bello di morire questo, meglio di farsi schiacciare dai carrarmati dei russi o sparati alle spalle dai tedeschi.

Qui in Russia, con gli altri italiani che si sono addormentati, facciamo un gioco. Funziona così: tu chiudi gli occhi e immagini quello che vuoi, dove vuoi e quando vuoi.

Io per oggi ho scelto che sono alla Chiesa del Santissimo Salvatore a Modica, il 13 luglio del 1960, e tengo al braccio la mia Gina. Che bella la marcia nuziale e quant’è bella mia figlia! Pietro è un bravo ragazzo, le vuole bene e so che la farà felice. Se lo merita, la mia piccola Gina, di essere felice. È dura la vita per gli orfani di guerra e anche per le vedove non è affatto facile. Ma oggi è un giorno felice, la mia Gina si sposa e dobbiamo festeggiare.

Io, Giovanni Gugliotta di Vincenzo, nato ufficialmente negli Stati Uniti d’America il 26/06/1914, ma in realtà a Buenos Aires, coniugato con Francesca Migliore detta Ciccina, ho deciso di stringere gli occhi forte forte e di accompagnare mia figlia Gina all’altare a sposare il suo Pietro, perché questo fanno i papà, anche se sono dispersi in Russia.

E io oggi so che posso addormentarmi nella neve della Russia, ché la mia Gina s’è sposata e tra una ventina d’anni anche Ciccina mia si sposa con suo cugino, che fa il meccanico e almeno possono vivere felici e hanno di che campare. Ora sì, ora posso addormentarmi, perché un commilitone ha detto che addormentarsi nella neve è un bel modo per morire, perché ti si gela il sangue nelle vene e non ti accorgi di niente.

E oggi sono così felice che sto piangendo e non piangevo dal 16 dicembre del 1942, quando la slavina mi ha fatto perdere i miei amici modicani e nessuno mi ha più rivisto.”